BRICS E IL NUOVO ORDINE MONDIALE
ANALISI E RIFLESSIONI DI PAOLA BERGAMO
1 dicembre 2023
C’è chi parla di Terza Guerra Mondiale, chi di Guerra Grande. Comunque la si voglia chiamare viene combattuta su molteplici piani: quello economico, quello informatico, quello militare, quello psicologico. Si belligera pure nel Cyberspazio, estremamente politicizzato, in cui l’Uomo ha trasferito sfide, rivalità, rapporti di forza.
Tra guerre convenzionali, ibride e asimmetriche sono così tanti i movimenti in atto che, se può apparire difficile e complesso il nostro tempo, in realtà tutto è prodromico di un nuovo futuro assetto del Mondo.
Se l’Occidente, Vecchio e Nuovo, dà la percezione di far fatica a districarsi tra le tante sfide e se registriamo un disordine mondiale, ciò accade per la forza crescente della BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) divenuta importante player nello scacchiere mondiale capace di mettere in discussione l’ordine che ha imperato fino a ora, sfidando l’egemonia economica e finanziaria degli Stati Uniti.
Di questo tema si è parlato il 30 Novembre scorso al convegno “ BRICS e il Nuovo Ordine Mondiale”, tenutosi all’Università La Sapienza di Roma, sotto gli auspici della Fondazione di Studi Internazionali e di Geopolitica di cui è Presidente il Professor Giancarlo Elia Valori.
Innanzi ad un folto e attento pubblico, si sono analizzate cause ed effetti del faticoso passaggio da una realtà unipolare (dominata dagli Usa per molto tempo garanti dell’ordine del mondo) ad un sistema multipolare dove i rapporti tra attori sono e sempre più saranno all’insegna della multilateralità.
Il Convegno ha visto la presenza di importanti relatori come il Prof. Paolo Savona, Presidente della Consob, il Presidente Lamberto Dini, già Presidente del Consiglio e Ministro per gli Affari Esteri.
Dopo il saluto di apertura rimesso alla Rettrice Antonella Polimeni e prima di aprire la sessione dei lavori, il Preside Oliviero Diliberto, ha passato la parola al Professor Giancarlo Elia Valori per un primo intervento, intenso ricordo di Henry Kissinger, scomparso il 29 novembre scorso a 100 anni. L’importante diplomatico americano, ebreo di origine tedesca, ha solcato un secolo di storia del mondo ed è stato l’artefice del disgelo fra gli Stati Uniti e la Cina all’epoca di Nixon. In coerenza con la sua visione del Mondo, profetizzando un Nuovo Ordine Mondiale, non si è risparmiato fino all’ultimo dei suoi giorni, spianando la strada per un nuovo dialogo possibile tra Usa e Cina foriero di stabilizzazione. Tutti ricorderanno il suo viaggio, proprio a luglio di quest’anno, e il suo suggerimento per garantire più pace e cioè che “gli Usa si sforzino d’andare d’accordo con Pechino”. Questa affermazione si intona al pensiero di Xi Jinping espresso a San Francisco il 16 novembre scorso innanzi a Biden: “il Mondo è abbastanza grande per la presenza di due superpotenze”.
Oliviero Diliberto non si è limitato a moderare l’incontro introducendo temi partendo da una ricognizione storica: Yalta e l’ ordine mondiale che allora ne discese, determinato da paesi profondamenti diversi, vincitori del secondo conflitto mondiale. Diliberto ha quindi ricordato come la Caduta del Muro di Berlino avesse indotto a speranze in un mondo nuovo. Ma furono speranze vane, non poggianti su una reale condivisione, determinando crepe e vanificando quell’idea stessa di una possibile “fine della storia”.
Così si era espresso il politologo Francis Fukuyama sostenendo che nel XX secolo il processo di evoluzione sociale, economica e politica dell’umanità avesse raggiunto il proprio acme con l’affermazione della democrazia liberale vincente su autocrazie, monocrazie, oligarchie e totalitarismi. Invece le nostre democrazie sotto i colpi di pandemie, crisi economico-finanziarie e conflitti, tra cui i più recenti russo-ucraino e israelo-palestinese, hanno rivelato che il sistema vacilla.
In effetti l’ordine scaturito da Yalta non c’è più. Non è più capace di contenere le tante spinte endogene ed esogene e se l’Europa ha vissuto 78 anni di relativa pace e prosperità, poggiando sul “Washington Consenus”, termine coniato dall’economista John Williamson, oggi quell’ordine appare messo in discussione.
Si può dire anche che sia una percezione tutta europea quella di una lunga pace, perché in verità non solo non si sono mai fermati i conflitti nel mondo dal 1945 in poi ( è del 1948 il conflitto arabo-palestinese, del 1950 il conflitto in Corea, del 1964 fino al 1973 il conflitto in Vietnam, del 1967 la guerra dei 6 giorni, del 1973 la guerra del Kippur , ndel 1980 fino al 1989 la guerra tra Iran e Iraq, del 1982 la guerra delle Falkland, del 1990 la guerra del Golfo) ma pure in Europa vi è stata guerra basti ricordare quella di 30 anni fa, all’indomani della morte di Tito, durata dal 1991 al 2001 determinando la dissoluzione della Jugoslavia.
Ora non solo vicini ma inquietanti sono la guerra Russo Ucraina del 24 febbraio 2022, guerra di identità e sopravvivenza così pure la recentissima Israelo-Palestinese a seguito attacco terroristico di Hamas contro Israele del 7 ottobre scorso.
Molto interessante è stata l’osservazione a analisi della BRICS da parte di Paolo Savona che si è soffermato su due importanti concetti: quello di modello competitivo e quello di modello cooperativo. Secondo Savona i due modelli anziché porsi in concorrenza tra loro, come di fatto accade, dovrebbero convergere migliorando il progresso economico e sociale.
Vero è che i due modelli permangono in contrapposizione poiché lo vuole una politica distorta e distonica oltre che ideologica, mentre non sarebbero in contrapposizione per loro intrinseca natura. Sulla scorta di questa riflessione ecco che allora molta della instabilità del mondo fonda su un modo iniquo di gestire le risorse mentre serve più cooperazione tra gli uomini e tra i popoli. Competizione e cooperazione sono due modalità, due facce della stessa moneta coniata per gli individui, le imprese e gli Stati.
Savona ha rimarcato che il problema grande è che si tenta di passare da un modello all’altro attraverso una competizione a blocchi e che questo processo difficilmente potrà essere governato dalla politica a cominciare dalla partita sulle valute.
E’ però mia convinzione che la politica arranchi proprio perché l’uomo economico e tecnologico improvvisatosi rottamatore del passato s’è scordato dell’importanza della Storia e delle Utopie che, promanando anche dall’universo filosofico, si ponevano domande diverse da quelle spacciate oggi come unici angoli prospettici. Mancano le idee. Mancano quei percorsi di giustizia, giustizia sociale che è madre della libertà, fonte di uguaglianza e di vere pari opportunità tra gli uomini, uniche ricette foriere di pace. Ci sono state iperboli nel pensiero dell’uomo, sognando società poggianti sulla felicità dell’uomo, ispirando la politica e talune Costituzioni poi disattese dalle azioni dell’uomo.
“LoStatodellecose” è quello di un mondo dominato da rapporti di forza in cui la competizione continua a prevale sulla cooperazione, l’ingiustizia sulla giustizia generando tra gli individui e i popoli lo squilibrio delle forze, fonte di crescente instabilità preludio di guerre ultimo tassello del disordine mondiale.
Nulla di ciò che accade è nuovo, sono dinamiche note, espressione del “continuum” della Storia e la Politica ma anche gli individui e i popoli non possono prendersi il lusso di essere smemorati o peggio ciechi.
Tornando ai lavori di Roma, Lamberto Dini ha sottolineato come la BRICS abbia la forza di ridurre l’influenza dell’Occidente persino in ambito Onu e questo non solo in ambito di Consiglio di Sicurezza ( si pensi al diritto di veto) ma anche nell’Assemblea Generale dove l’andamento del voto, esempio recente è il caso della guerra in Ucraina, rivela che sommando votanti e astenuti 2/3 della popolazione del pianeta la pensa diversamente dall’Occidente. Ed è pericoloso oltre che dannoso che i Paesi della BRICS ci percepiscano molto più “fragili”di quello che siamo.
Le conclusioni dei lavori son stati rimessi al Professor Giancarlo Elia Valori, appena tornato dalla Cina, insignito del titolo di Professor Benemerito dalla Peking Univesity alla Facoltà di Studi Internazionali.
Valori ha radiografato cosa sia la BRICS e i reali obbiettivi.
In alcuni suoi recenti articoli ha sottolineato l’errore che spesso si fa nel paragonare la BRICS alla NATO o all’ONU. Questa organizzazione non ha un quartier generale, non ha a che fare con accordi militari e si occupa solo di questioni e interessi economici. Il Gruppo non ha un presidente permanente. I lavori sono coordinati dal Paese organizzatore per l’intero anno di mandato e presidenza che, peraltro, nel 2024 vedrà essere la Russia di Putin.
Valori ha indicato alcune caratteristiche dei 5 paesi fondatori della BRICS:
1) la Cina è al primo posto al mondo in termini di Pil, è un enorme esportatore di beni e possiede le maggiori riserve di valute estere del mondo.
2) l’India è al terzo posto in termini di Pil, è la più popolosa del pianeta, dispone ampie risorse umane di altissimo profilo intellettuale.
3) la Russia è al quinto posto in termini di Pil e di spone di un territorio vastissimo ricco di risorse minerarie.
4) il Brasile è all’ottavo posto in termini di Pil e riveste grande importanza in materia come l’agricoltura.
5) il Sudafrica è al trentesimo posto in termini di Pil e dispone di grandi risorse naturali.
La BRICS è decisamente più popolosa dell’Occidente. La Cina o la sola l’India hanno più abitanti dell’Occidente. La Cina ha una economia comparabile a quella dell’Occidente, l’India, la più popolosa democrazia del mondo, ha un’economia che è tra quelle in maggior crescita.
Gli Usa e l’Occidente restano tuttavia dotati di una supremazia militare ancora oggi ineguagliabile.
Le due grandi superpotenze, Usa e Cina sono i principali attori del passaggio tormentato da una visione unipolare a quella multipolare.
I cinque attuali membri rappresentano il 42% della popolazione mondiale, il 30 % del territorio mondiale, il 23% del Pil mondiale, e il 19% del commercio globale.
Altri 6 Paesi da Gennaio 2024 diventeranno membri a tutti gli effetti e precisamente: la Repubblica di Argentina, la Repubblica Araba d’Egitto, la Repubblica Federale Democratica di Etiopia, la Repubblica Islamica dell’Iran, il Regno d’ Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.
La BRICS di fatto sta calamitando nella sua sfera 44 paesi. 22 hanno già fatto richiesta formale e altri 22 hanno espresso la volontà di farlo. Tra i candidati compaiono paesi come Algeria, Afghanistan, Nigeria, Nicaragua, Indonesia, Tailandia, Senegal.
Stiamo parlando di una realtà di più di 4 miliardi per densità demografica (cioè di metà della popolazione mondiale), dotata del 60% delle riserve mondiali di Gas e del 45% delle riserve mondiali di Petrolio, per un Pil di quasi 30 trilioni di dollari ( cioè più del Pil degli Usa e del doppio di quello della Ue).
Sulla base di questi numeri è più che evidente che la BRICS miri ad veder riconosciuto un ruolo primario e possa tendere a una nuova “architettura” mondiale.
Il Piano di de-dollarizzazione del commercio e la Nuova Banca di Sviluppo vanno in questa direzione.
In un confronto tra BRICS e G7, l’FMI ha confermato che nel 2022 i 5 BRICS hanno prodotto il 31,5% del PIL mondiale e da gennaio 2024 con l’allargamento a 11 i BRICS cresceranno ancora stimando che nel 2028 raggiungeranno il 38,5% del Pil mondiale.
Per fare il paragone, la stima al 2028 per la Ue è di un PIL al 13,7% e quella dei G7 si ridurrà al 27,7%. Se nella Ue e G7 vivono 1,03 miliardi di persone, nei BRICS a 11 vivono 3,6 miliardi di persone. Si deve sottolineare che i G7 hanno una riserva d’oro per circa 17 mila tonnellate mentre la BRICS di circa 5.500 tonnellate, però gli “emergenti” dispongono di più del 20% dello stock petrolifero e con l’allargamento all’Arabia Saudita, Emirati Arabi, Sudan e Iran arriveranno al 41%.
Lo scopo della BRICS è costruire un ordine economico finanziario e commerciale alternativo a quello creato dagli Usa alla fine della seconda guerra mondiale.
L’organizzazione, ha detto Valori, si propone obiettivi importanti quali:
– arginare effetti e conseguenze della crisi economica globale
– migliorare la qualità e le condizioni di vita della propria popolazione
– promuovere gradualmente la transizione tecnologica nei più diversi settori
Un primo importante passo è già stato compiuto con la creazione della “Nuova Banca di sviluppo” che mira a diventare il Fondo Monetario di riferimento dei paesi emergenti e che vede tra i suoi costituenti i 5 BRICS a cui si sono aggiunti Emirati Arabi, Bagladesh e Egitto. La strategia più ampia in atto è quella di un tentativo di de-dollarizzazione e la creazione di una moneta nuova di riferimento per i loro scambi. Al momento però il fronte non è unito.
Come di recente ha spiegato nel suo Data-room la Gabanelli, citata anche nel Convegno di Roma, Pechino guarda allo Yuan e ha creato una piattaforma alternativa allo Swift ma India e Indonesia al momento non sono interessate a sostituire il dollaro mentre il Brasile propone l’uso di tutte le monete della BRICS.
Attualmente il dollaro regola il 60% degli scambi commerciali e poco meno del 90% delle transazioni sul mercato dei cambi.
Il permanere di grande instabilità, incertezza e guerre ha prodotto che il tasso di crescita in Occidente sia rallentato, aumentato il tasso di disoccupazione , la volatilità dei prezzi delle materie prime e dei tassi di cambio favorendo bolle speculative e aumento dell’inflazione.
A questo quadro si aggiunge il problema del debito sovrano degli Usa e dei Paesi dell’area euro.
Però ad oggi la BRICS fatica a muoversi del tutto compatta nel contesto geo-politico:
la Cina non ha condannato la Russia per l’invasione Ucraina ma l’India l’ha fatto.
Tra Cina e India non si sono mai sopite le tensioni sui confini nazionali.
Se la Cina intende impedire che nell’Indo-Pacifico vi sia una pesante influenza americana, viceversa l’India di Modi, coltiva il dialogo con gli Usa.
Sul versante mediorientale se l’Iran vuole cancellare Israele, l’Arabia Saudita, prima del 7 ottobre scorso era pronta a firmare con Israele una intesa di cooperazione economica in cambio della sua tecnologia a uso civile avvalendosi nel contempo della protezione militare americana.
Il devastante e cruento attacco terroristico di Hamas a Israele ha interrotto questo percorso e ha ricompattato il mondo mussulmano vedremo con che effetti.
Se l’Occidente si trova innanzi a grandi sfide, a me pare che la sfida della BRICS sia comunque duplice: verso l’esterno, cioè verso l’Occidente e verso il proprio interno al fine di trovare una unità di visione essenziale per una strategia unitaria in tema di commerci, moneta, investimenti. La Certo che la BRICS sta mettendo in discussione la tenuta della centralità geoeconomica e geopolitica dell’Occidente. Ed è sotto la sua spinta e pressione che si sta molto faticosamente delineando l’invocato Nuovo Ordine Mondiale Multipolare.