RELAZIONE SUL DISSESTO IDROGEOLOGICO

DOPO LE RECENTI VICENDE ALLUVIONALI

che hanno investito gran parte delle regioni meridionali ed in particolare la Calabria, provocando ingenti danni al territorio, ma soprattutto vittime innocenti, torna alla ribalta il tema, mai abbastanza approfondito, del dissesto idrogeologico.

Un tema che purtroppo, nonostante le esperienze devastanti, continua a non trovare una efficace soluzione, forse a causa dell’approssimazione con la quale le classi politiche e dirigenti locali e nazionali si occupano del problema, sottovalutandone l‘importanza degli eventi e delle loro conseguenze.

Riteniamo, pertanto, utile riproporre ampi stralci di una relazione di grande interesse che, anche se datata, l’on. Francesco Nucara presentò in Commissione Ambiente della Camera dei deputati ed approvata all’unanimità il 3 novembre 2009, a conclusione dell’Indagine conoscitiva sulla tutela del territorio e la difesa del suolo.

RELAZIONE

Come è emerso nel corso dell’indagine,  circa il 10% del territorio italiano e più dell’80% dei comuni italiani sono interessati da aree a forte criticità idrogeologica e che negli ultimi 50 anni sono stati spesi, per sopperire ai danni derivanti dai soli fenomeni alluvionali, più di 16 miliardi di euro.

Purtroppo, il verificarsi di fenomeni eccezionali dovuti ad avversità atmosferiche non è prevedibile né costante nel tempo: non ci sono fattori di incidenza che possono preannunciare tali fenomeni. L’unica sicurezza che abbiamo è che le gravi conseguenze dei fenomeni meteorologici sul territorio e soprattutto in termini di vite umane sono inscindibilmente collegate con la vulnerabilità e fragilità del nostro territorio e con la struttura idraulica e geologica del terreno.

La frequenza, l’intensità e il valore dei danni dipendono in larga parte dal fatto che stiamo vivendo un periodo di cambiamenti climatici, che non sono necessariamente collegati al riscaldamento del globo o all’aumento del CO2, ma anche con la deforestazione o con le trasformazioni territoriali a livello globale.

D’altra parte, l’aumento dei disastri è senz’altro dovuto al non corretto uso del suolo, sia per la cattiva amministrazione del territorio sia per l’abbandono della terra, lo spopolamento dei piccoli centri, l’incuria legata alla perdita del contatto con il territorio stesso.

I casi di abusivismo edilizio sono i primi a provocare “disastri annunciati”. La costruzione abusiva di edifici nell’alveo dei fiumi o su un terreno franoso, magari successivamente condonati invece di essere demoliti, è una delle principali cause di questi fenomeni.

Il sottosegretario …….. ha elencato le ulteriori cause del dissesto: la dissennata pianificazione urbanistica, la carenza o l’errato dimensionamento di opere di ingegneria, scriteriati comportamenti individuali, la generale fragilità del nostro Paese, l’inadeguatezza normativa.

In questi casi, emerge una responsabilità degli amministratori che hanno autorizzato le costruzioni: spesso sono gli stessi Piani regolatori ad essere stravolti da mille compromessi, che perseguono interessi di parte e non la compatibilità con le caratteristiche ambientali del territorio.

Per contrastare tali fenomeni, in Europa, come già avvenuto in America, si parla oramai di “strategia di adattamento”. Adattamento non come adattarsi agli eventi, ma come prevenzione dai danni futuri.

La strategia di adattamento è una strategia di mitigazione del rischio che agisce sulla prevenzione degli effetti negativi e dei danni provocati dai cambiamenti climatici, indipendentemente dalle misure di contenimento delle emissioni stabilite a livello mondiale dai vai protocolli e normative (protocollo di Kyoto, direttive sulle emissioni, contenimento energetico, ecc.)

La strategia di adattamento compete al singolo Paese, che la attua con strumenti e programmi propri e costituisce una cornice di riferimento per le scelte e gli interventi di gestione del rischio di competenza delle autonomie regionali e locali.

Gli altri Paesi, sollecitati da iniziative della Commissione europea, stanno avviando proprie strategie nazionali di adattamento e in tal senso si dovrebbe muovere anche il nostro Paese.

Sviluppare una strategia di adattamento nel settore della difesa del suolo vuole dire eseguire una mappatura del territorio sulla previsione di ciò che potrebbe accadere nel futuro, tenendo presenti anche le tendenze di utilizzo del territorio stesso. A tale proposito, nel corso dell’indagine, la Commissione ha preso atto che l’attività antropica ha un ruolo determinante tra i fattori che concorrono a definire la pericolosità di una area rispetto ad eventi di dissesto idrogeologico. Spesso l’incidenza umana modifica le dinamiche naturali, incrinando i delicati equilibri di un territorio ad alta fragilità e quindi inducendo nuovi fattori di rischio oppure incrementando la pericolosità di fenomeni di dissesto già presenti.

Occorre quindi, anche al fine di prevenire le cause dei fenomeni di dissesto idrogeologico recuperare il supporto tecnico della pubblica amministrazione, a partire dal Consiglio superiore dei lavori pubblici nella fase della progettazione e realizzazione delle opere.

Sotto il profilo istituzionale, è necessario poi, come emerso nel corso delle audizioni, elaborare interventi concertati e condivisi, con una forte cooperazione interistituzionale tra i diversi soggetti, ciascuno per il proprio ruolo, in linea peraltro con i principi di un “robusto federalismo cooperativo” da attuarsi ai sensi della legge n. 59 del 1997, del decreto legislativo n. 112 del 1998 e, da ultimo, della legge 42/2009 sul federalismo fiscale, al fine di rendere sempre più omogenei e diffusi gli interventi di manutenzione territoriale. Tale impostazione risponde altresì al richiamo della sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 1990 alla «leale collaborazione tra Stato e regioni».

Si tratta di questioni che occorre affrontare in modo organico, con programmi specifici seguendo le moderne linee di intervento tracciate a livello comunitario e internazionale.

La Commissione ha quindi definito le seguenti proposte:

  1. Innanzitutto, occorrere rafforzare la programmazione triennale, d’intesa con le regioni e le autorità di bacino e sulla base dei piani per l’assetto idrogeologico (PAI), a valere sulle risorse di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183, dando assoluta priorità agli interventi di messa in sicurezza delle zone a rischio più elevato, senza lasciarli alla discrezione dei singoli, ma ricorrendo ad un unico provvedimento in cui si concentri la capacità di prevedere i possibili interventi sul territorio.

Si tratta, in particolare, di prevedere uno sforzo straordinario in termini economici ma anche di concentrare le risorse previste dalla legge quadro prioritariamente sulle zone a rischio idrogeologico molto elevato (R4).

In tale ambito occorrerà attribuire assoluta priorità all’incolumità delle persone e quindi, agli agglomerati urbani comprese le zone di espansione urbanistica; alle aree su cui insistono insediamenti produttivi, impianti tecnologici di rilievo, in particolare quelli definiti a rischio ai sensi di legge; alle infrastrutture a rete e alle vie di comunicazione di rilevanza strategica, anche a livello locale; al patrimonio ambientale e ai beni culturali di interesse rilevante; alle aree sede di servizi pubblici e privati, di impianti sportivi e ricreativi, strutture ricettive ed infrastrutture primarie.

Tale proposta è stata condivisa da tutti gli auditi, i quali hanno sollecitato uno stanziamento straordinario per la messa in sicurezza del territorio: in tal senso, è stato chiesto il ripristino degli stanziamenti della legge n. 183 del 1989 a favore dei piani triennali per la messa in sicurezza, che consentivano di programmare gli interventi sul triennio e di realizzarli.

Occorre quindi svolgere una efficace attività di coordinamento in termini di programmazione della spesa che consenta di utilizzare al meglio le risorse, evitando la sovrapposizione di piani e programmi definiti in sedi differenti.

  1. Contemporaneamente, è necessario promuovere un programma straordinario di prevenzione e di manutenzione del territorio da parte dei singoli comuni.

Nonostante il Governo abbia accolto favorevolmente l’indirizzo parlamentare relativo alla realizzazione di un programma di manutenzione volto ad un’attività preventiva nell’ambito della difesa del suolo, la Commissione ritiene che sia necessario – e quanto mai urgente – approvare una specifica proposta di legge che permetta la realizzazione di un programma straordinario per la manutenzione del territorio, al fine di evitare di giungere alle situazioni di emergenza trattate nel paragrafo precedente. Infatti, dalle audizioni è emersa la necessità – accanto alla programmazione triennale – di prevedere una programmazione a livello locale, a supporto dei piani di bacino, destinata specificamente alle normali attività di manutenzione del territorio di competenza dei singoli comuni, i quali – soprattutto in considerazione dei limiti di bilancio e della grave crisi economica – non sono in grado di provvedervi con le risorse ordinarie.

Tale provvedimento dovrebbe prevedere la concessione da parte del Ministero dell’ambiente – sentita la Conferenza Stato-regioni e in deroga al patto di stabilità – di contributi sugli oneri di ammortamento di mutui quindicennali ai soggetti competenti definiti dal Codice (Comuni, le Province, i Consorzi di bonifica e Comunità montane), per i seguenti interventi:

a) riqualificazione ambientale dei corsi d’acqua, con particolare riferimento alla ricostruzione morfologica e alla rinaturalizzazione di tratti degradati, interventi sul sistema alveo-versante volti al controllo del trasporto solido e del materiale legnoso fluitato, con particolare riferimento ai bacini soggetti a fenomeni torrentizi, rimboschimenti, cespugliamenti e rinverdimenti di terreni denudati, anche a seguito di incendi;

b) interventi di arricchimento della composizione floristica e di riequilibrio dei popolamenti forestali, comprese le cure culturali e quelle indirizzate alla normalizzazione dei caratteri del bosco;

c) misure dirette al miglioramento delle caratteristiche di efficienza idrologica dei suoli nel territorio montano e collinare, in particolare favorendo, secondo corrette pratiche selvicolturali, il recupero e l’evoluzione verso forme equilibrate dei popolamenti forestali;

d) interventi di adeguamento e ammodernamento delle strutture deputate alla funzione di regimazione delle acque quali canali, impianti idrovori, sistemazioni idrauliche, canali collettori, vasche di laminazione, sistemi di consolidamento, ed altre opere con analoghe finalità.

Nell’ambito delle attività indicate nelle lettere precedenti, al fine di favorire determinate operazioni funzionali alla sistemazione ed alla manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, alla cura ed al mantenimento dell’assetto idrogeologico e di promuovere prestazioni a favore della tutela delle vocazioni produttive del territorio, i soggetti beneficiari dei finanziamenti, dovrebbero privilegiare la stipula di convenzioni con associazioni o società giovanili finalizzate all’esecuzione di tali operazioni, nonché con gli imprenditori agricoli, in particolare con i giovani imprenditori, singoli o associati.

  1. Nell’ambito della progettazione di grandi infrastrutture come di piccole opere, soprattutto a carattere viario o di regimazione delle acque (con particolare riferimento alle dighe), la Commissione auspica la predisposizione di linee guida, da elaborare con il supporto tecnico del Consiglio superiore dei lavori pubblici, volte alla realizzazione di opere a basso impatto sul territorio e che limitino le cause dei fenomeni di dissesto idrogeologico.

  2. Con riferimento alle attività di prevenzione, si suggerisce inoltre la prosecuzione del Piano straordinario di telerilevamento, già previsto dall’articolo 27 della legge 31 luglio 2002, n. 179, al fine di renderlo un punto di riferimento e di accesso per le cartografie e le informazioni ambientali di altre amministrazioni centrali e periferiche.

  3. — OMISSIS —

  4. La Commissione ritiene inoltre opportuna l’introduzione di norme – di carattere statale e regionale, anche nell’ambito dell’attuazione del federalismo fiscale – volte a favorire la trasformazione delle aree dismesse, anche attraverso la leva fiscale o incentivi ad utilizzare aree da recuperare piuttosto che nuove aree.

  5. La Commissione ribadisce quindi la necessità di tenere conto di alcuni suggerimenti di carattere tecnico emersi durante lo svolgimento dell’indagine: la delocalizzazione degli edifici in aree a rischio; il controllo dei corsi d’acqua a monte; il rispetto delle fasce di pertinenza fluviale, per invertire la tendenza alla limitazione dello spazio destinato all’acqua, ridandole spazio anche per esondare (laddove possibile, come nelle aree extraurbane o di campagna, non certo nei centri urbani); il rifacimento degli argini e la pulizia dei letti dei fiumi; una grande attenzione ai corsi d’acqua minori; un’attività di controllo, da parte delle forze dell’ordine, sulle illegalità che riguardano i corsi d’acqua che spesso, purtroppo, sono sede di abusivismo edilizio, di discariche illegali o di estrazioni illegali di inerti, che comportano un aumento del rischio.

  6. Infine, la Commissione sollecita gli enti preposti a realizzare una programmazione «leggera», che comprende l’informazione della popolazione, lo sviluppo dei sistemi di protezione civile, ma anche i vincoli di uso del territorio e le delocalizzazioni, ossia interventi che comportano una spesa minore ma che sono fondamentali per la manutenzione e la conservazione del territorio. In particolare, nelle zone a rischio molto elevato occorre utilizzare strumenti specifici (ordinanze, avvisi pubblici, cartelli, ecc.) per segnalare esplicitamente ed in modo inequivocabile il divieto di costruire.

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