XX SETTEMBRE – IL CONTRIBUTO DI STEFANO COVELLO
L’Italia è la più giovane delle grandi nazioni europee.
La bellezza delle sue città, dall’evo antico alla modernità, è stata sempre dominio di principati, di ducati, di contee, di baronie le quali non avevano per nulla l’esigenza politica di uno Stato sovrano unitario.
Le motivazioni che ispirarono i patrioti “italiani”, in più circostanze e tempi, a ribellarsi ai dominatori stranieri, quali furono, in evo moderno, spagnoli e austriaci, trovarono sbocco solamente nel XIX secolo, sebbene illustri poeti, scrittori, artisti e intellettuali di ogni epoca avessero “sognato” e prefigurato l’unità dell’Italia e degli italiani.
Fummo servi non servili, mai schiavi, sempre ribelli a Roma, a Firenze, a Napoli, a Palermo, in una lunga sequela di insurrezioni, di moti, di tumulti d’ogni specie, che lasciano ancora traccia in quella sorta di radicamento territoriale che distingue i Comuni italiani da ogni altra forma di autonomie locali.
Quel 1870 fu la vera data di nascita dello Stato Italiano, a coronamento delle imprese eroiche dei garibaldini, dei mazziniani, dei patrioti, i quali non furono semplicemente ed egoisticamente “ribelli”, ma combattenti per una causa comune e condivisa, intellettuale e popolare, paziente ed eroica, intesa a costruire una Patria vera per un Popolo vero: gli Italiani.
Un popolo di cittadini, che non è mai stato “nazionalista”, nemmeno negli orrori della dittatura fascista, alla quale si è sempre opposta, coltivando il bene supremo delle libertà fondamentali, predicate con passione da Giuseppe Mazzini ne “I Doveri dell’Uomo”.
L’Italia è oggi “nazione cosmopolita”, culla di cultura politica, sedimento basilare del mondialismo, a partire dall’Assemblea della Nazioni Unite, la cui Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ha visto la luce assieme alla Costituzione della Repubblica Italiana.
Un’Italia sempre stata europea ed europeista, dalla Giovine Europa di Mazzini, all’enorme contributo di Ugo La Malfa alla formazione delle Istituzioni Europee, culminate oggi nella UE, nella BCE, nella profonda unità dell’Europa delle Nazioni.
Un’Italia in cui il contributo culturale dei repubblicani e dei mazziniani rischia di essere sottovalutato, dimenticato, trasceso, per dar posto ad idee nuove molto confuse, parziali, episodiche, le quali non si formano nella tradizione sulla quale poggia l’idea stessa di “Repubblica”, né incrementano la coerenza tra le scelte battagliere del 1870, quelle del 1946, nonché quelle che portarono l’Italia tra i paesi della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio.
Tutto sembra trascorso invano, mentre alcune forme di politica “ordinata e disciplinata”, rivangano metodi e sistemi di legislazione e di governo che mal si confanno ad una “repubblica democratica fondata sul lavoro”, come recita la nostra Costituzione.
Gli Italiani, lungi dall’esser “sovrani”, sono diventati poveri e per di più schiavi dei poteri forti, mentre miliardi di euro si sperdono in mille rivoli, provocando un’emorragia di democrazia, prima ancora che di ricchezza.
Da questo punto di vista non possiamo non ricordare la concezione economica e politica della società democratica pensata da Giuseppe Mazzini e fondata sul principio di “associazione”, ben diverso e lontano sia dallo Stato “imprenditore” che da quello “socialista”.
Furono i “Doveri dell’uomo” a portare sulle barricate gli “uomini che fecero l’Italia”, con la partecipazione politica e il coraggio militare, a Porta Pia, come in ogni teatro di battaglia, precedente, come nelle guerre d’indipendenza, e successivo, come nelle due guerre mondiali del “secolo breve”.
Qui non si tratta quindi di “commemorare” la Breccia di Porta Pia, né la Grande Guerra, né l’antifascismo e la Seconda Guerra Mondiale.
Qui abbiamo il dovere di testimoniare la lucidità e la saggezza di un progetto di Italia che da “un’entità geografica” è divenuta Patria di un Popolo, per non doversi poi inutilmente disperdere in lotte interne inutili e dannose, di carattere economico-finanziario e politico-religioso, che pure si profilano chiaramente nell’orizzonte sociale e culturale contemporaneo.
La scuola pubblica, che ha scelto di relegare la Storia del Risorgimento in uno spazietto compresso e ristretto rispetto al mito ideologico del Novecento, ha condannato all’oblio – senza provarne vergogna – le gesta eroiche, le idee rivoluzionarie ed innovative, i principi di democrazia associativa nella politica e nel lavoro, sulle quali è nata l’Italia, la nostra amata Italia, che annaspa oggi alla ricerca di “valori” su cui fondare scelte che sono invece egoistiche e miopi, in campo politico, economico e sociale.
E quindi vien da chiedersi, nonché da chiedere agli Italiani: “possiamo noi vivere nell’ingrata perdita della memoria storica delle ragioni che dalla Breccia di Porta Pia ad oggi hanno costituito il fondamento della laicità dello Stato, per perderci nelle ideologie e nelle fedi che hanno segnato ogni malessere del Novecento, ammainando le bandiere che nell’Ottocento hanno creato e fondato l’Italia?”
Questa domanda è la via giusta per spronare le energie intellettuali dei giovani, quelle morali degli adulti, quelle spirituali degli anziani, che vogliono ritrovare o riscoprire il significato dell’esistenza stessa dell’Italia, la Giovine Italia, l’Italia democratica e repubblicana che deve continuare a vivere la propria vita con fierezza, anche per onorare coloro che sono morti per farla nascere, i quali meritano che l’Idea Repubblicana continui ad essere il cuore pulsante della nostra democrazia attuale e futura.