VISIONE INDUSTRIALE DEBOLE DEL GOVERNO

Per gentile concessione riportiamo l’interessante articolo dell’amico Riccardo Gallo pubblicato su “Milano Finanza” oggi 3 agosto 2024.

 

SISTEMAZIONI PIETOSE

Riccardo Gallo*

Rete Tim, Ita Airways, ex Ilva, Banca Mps sono questioni annose. Per sistemarle una volta per tutte, il ministro Giorgetti e la premier Meloni stanno compiendo scelte, magari con una visione industriale e strategica debole, ma pragmatiche.

Tim un mese fa ha ceduto la rete al fondo KKR per 22 miliardi, di cui 3 se in futuro si combinerà con Openfiber. La vicenda nasce da come Telecom Italia (Iri) fu privatizzata nel 1997. All’epoca, per gli impegni legati all’euro, il Tesoro fu costretto ad arrangiare in fretta e furia un azionariato privato non industriale né stabile, senza prima aspettare una liberalizzazione. Questa incompiutezza lasciò spazio a due scalate alla proprietà, una nel 1999 (Olivetti di Colaninno) e la seconda nel 2001 (Tronchetti Provera), entrambe fatte a debito, da rimborsare negli anni con i profitti della rete in monopolio. L’incidenza del debito finanziario sul fatturato del gruppo, pari al 40% nel 1996, più che raddoppiò nel 2000 e più che triplicò nel 2001. Nel 2023 era quintuplicata. L’età della rete, pari nel 1996 a 6 anni e mezzo, raddoppiò nel 2002 e arrivò a fine vita. Da allora, i profitti andarono a servire il debito e non a finanziare investimenti. La rete è stata munta come una mucca vecchia. L’aumento dei tassi ha reso il debito insostenibile. Per ridurlo è stata appunto venduta la rete, il socio Vivendi era contrario, Cdp favorevole. Nessun operatore al mondo l’avrebbe fatto. Ora Tim rischia di non avere più futuro.

ITA Airways entro l’anno eseguirà le correzioni imposte dalle autorità europee (taglio di rotte a corto raggio e subentro di altri vettori, modifiche dell’offerta sul lungo raggio) per meritare di scomparire tra le braccia di Lufthansa. Alitalia progenitrice di ITA era stata risanata negli anni ’90, presentò nel 1997-98 un utile netto annuo superiore a 200 milioni di euro, ma fu trattata come società a controllo partitico. In vista delle elezioni del 2001, spinta dal governo dell’epoca, Alitalia aumentò di 2.500 unità l’organico fermo dal 1998. Da allora e per tante ragioni (dimensione scarsa, prezzo del carburante alto), la compagnia chiuse la gestione sempre in perdita rovinosa. Fu commissariata due volte, nella prima fu usata anche per salvare AirOne, amica dell’opposizione, con la bugia delle sinergie pubblico-privato. Altro falso fu il mito della compagnia di bandiera che piaceva alla maggioranza. Ci rimisero i lavoratori (i vecchi e i nuovi) e i creditori. Ora le spoglie di ITA vengono pietosamente sistemate in Lufthansa. Il ministro Giorgetti ha parlato di «un percorso travagliato e difficile ma coronato da un grande successo italiano, tedesco ed europeo».

L’ex Ilva di Taranto ha una storia ancor più grave di perdite economiche e commissariamenti multipli. Arcelor Mittal, gruppo privato leader mondiale nel campo, con la società Acciaierie d’Italia stava riuscendo a contemperare bonifica della fabbrica, salvaguardia dell’occupazione (10.149 dipendenti nel 2022) ed equilibrio della gestione economica (utile di 68 milioni), ma non rispondeva a molti altri diktat politici. E il ministro Urso l’ha espropriato con una nuova a.s. (amministrazione straordinaria). Il bando di gara per trovare un acquirente contiene cinque obblighi, alcuni dei quali (per esempio attività e forme di compensazione in favore delle comunità locali) forse vanno oltre l’a.s.. Il governo rischia di circoscrivere forzosamente la gara ai candidati politicamente più disponibili?

Banca Mps a breve sarà privatizzata in un ambito di ristrutturazione aziendale, perché questo è l’impegno assunto dal governo italiano con le autorità europee come condizione per ricapitalizzare la banca. A sua volta la ricapitalizzazione è stata la condizione per evitare il fallimento. Mps storicamente concepiva l’attività di credito come favori alla realtà senese. Come non bastasse, acquisì e si caricò il peso della Banca del Salento che aveva fatto altrettanto nel suo territorio e, dopo il 2008, anche dell’Antonveneta. Nel 2011 il capitale di rischio di Mps era pari a 10 miliardi. Dal 2011 al 2023 sono emerse perdite nette per 23 miliardi e mezzo, non solo per le acquisizioni antieconomiche fatte, ma anche per il rispetto della trasparenza verso il mercato voluto dai dirigenti chiamati nel 2012 (Profumo e Viola). Sotto la guida della BdI in 10 anni sono stati realizzati aumenti di capitale per quasi 21 miliardi. La partecipazione dello Stato oggi è poco meno del 40%. Banca Mps è ormai patrimonialmente solida, con buone prospettive di redditività. A differenza di Tim, Ita, ex Ilva, la ricerca dell’acquirente di Mps può essere non pubblica e limitata all’Italia.

Questo giro di carte non rientra nelle privatizzazioni, nemmeno nella politica industriale, non è curativo, è un po’ come chiudere i conti con il passato, per poi guardare al futuro. Sperando che si faccia autocritica e che per il futuro si recuperi una visione industriale.

* Presidente Osservatorio delle Imprese, Sapienza Roma

 

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